La legge sulle etichette di origine dei prodotti alimentari non è chiara e può provocare problemi di interpretazione. Di più: rischia di mettere in difficoltà gli artigiani del settore alimentare che lavorano su prodotti trasformati. Questo in sintesi il giudizio di Marco Bacci e Fabrizio Piervenanzi, rispettivamente coordinatore e presidente della Federazione Alimentazione di Confartigianato Arezzo. Particolarmente eclatante – secondo Bacci e Piervenanzi – è la situazione in cui verranno a trovarsi alcune categorie di “seconda trasformazione, come i pastai. Ma i dubbi intrepretativi esistono anche in altre parti del testo – che secondo i rappresentanti della Federazione Alimentazione – presenta una serie di criticità tali da rischiare che la Commissione Europea possa avviare verso l'Italia una procedura d'infrazione. Ma vediamo meglio le osservazioni e le criticità che Bacci e Piervenanzi hanno dettagliatamente illustrato in una lunga circolare diffusa a tutte le aziende artigiane del settore alimentare aderenti a Confartigianato.Al primo posto una precisazione: l'obbligo di indicare in etichetta l'origine dei prodotti non scatterà se non dopo che saranno stati emanati, con la doppia firma del Ministro dell'Agricoltura e di quello dello sviluppo economico, d'intesa con la Conferenza Stato Regioni, i decreti attuativi della legge. Inoltre, anche dopo la pubblicazione dei decreti – prosegue Confartigianato – dovranno passare ancora almeno 90 giorni, prima che scatti l'obbligo di etichettatura. Tutto questo – spiegano – perchè i decreti dovranno essere notificati alla Commissione Europea, che ha tempo 3 mesi (rinnovabili per altri 3) per esprimere il suo parere. Passando più in particolare alle questioni per quanto riguarda i “prodotti trasformati” Piervenanzi e Bacci si soffermano sul significato del termine “prevalente” previsto dalla legge circa la materia prima agricola che andrà indicata in etichetta. E qui, sempre per rimanere nell'esempio della pasta, il dubbio è se, come “prevalente”, sia da indicare la materia, ossia la farina rispetto alle uova, oppure la provenienza, cioè la farina italiana” rispetto ad altra farina. Ma qui – sottolineano Bacci e Piervenanzi – il problema si complica per l'artigiano pastaio, perchè la farina con cui si fa la pasta è ottenuta spesso dalla miscelazione di grani diversi. Con la conseguenza che il pastaio deve affidarsi, assumendosene la responsabilità, a quanto dichiarato in etichetta dal produttore di farina. Ma non c'è solo questo. “Mettere in relazione – scrivono Bacci e Piervenanzi – il termine Made in Italy con l'origine nazionale della materia prima significa impedire di chiamare italiani prodotti come il caffè, il cacao ecc. che mancano nel territorio nazionale o altri prodotti, come appunto la pasta, che sono ottenuti mixando grani di varie origini per aumentarne la qualità. Sarebbe una forzatura – sottolineano gli stessi– non riconoscere che il Made in Italy è il risultato della combinazione di una serie di fattori, che va dalla scelta delle materie prime alla loro combinazione, al rispetto di processi produttivi tradizionali, consolidati e ancorati al territorio. Per questo – concludono – auspichiamo che in sede di predisposizione dei decreti attuativi si possano affrontare e risolvere tutti i dubbi e i passaggi poco chiari della legge stessa e che per gli operatori di seconda trasformazione, come i pastai, si adottino misure di deresponsabilizzazione in quanto impossibilitati a verificare la correttezza dell'indicazione trasferita nell'etichetta dal fornitore.”
Legge sulle etichette di origine dei prodotti alimentari: Confartigianato Arezzo, “Rischi e difficoltà per le piccole aziende di trasformazione”
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